mercoledì 19 dicembre 2012


Giordania. Il cantante palestinese Safadi in carcere per ‘offesa alla religione’

Un solo concerto ad Amman è bastato per farlo finire in galera. Jowan Safadi ha scontato due notti in carcere prima di essere rilasciato e rimpatriato. La colpa? Aver ironizzato sulla religione.



di Marta Ghezzi da Amman

La seconda data del suo minitour giordano era fissata per il primo di dicembre, ma quel concerto non c’è mai stato.
“Per circostanze al di fuori del nostro controllo, il concerto di Jowan Safadi programmato per oggi è cancellato. Tutti i biglietti venduti saranno al più presto rimborsati. Per questo ci scusiamo”.Giusto due righe diramate attraverso Facebook durante il pomeriggio per annunciare ai fan giordani che qualcosa era andato storto.
Jowan Safadi, cantante e musicista palestinese, è stato arrestato nella serata del 30 novembre. Trattenuto presso il commissariato di polizia di Abdali, il suo trasferimento verso il carcere ordinario di Jweideh, alla periferia di Amman, era già pronto.
Poi, dopo due giorni di mobilitazioni e pressioni, il rilascio nella mattinata del 2 dicembre con l’obbligo di lasciare il paese.
L’accusa imputatagli era di ‘offesa alla religione’ per i testi di alcune canzoni. Una in particolare, Ya Haram al-Kuffar (Poveri infedeli, ndr).
Fuori dalla prigione, numerosi gli attestati di solidarietà come le aspre critiche degli ultra-religiosi: aperti a tempo di record un hashtag su Twitter (#freejowan) e una pagina Facebook, che assieme agli appelli per il rilascio si sono riempite di minacce e citazioni dirette dal Corano, e poi comunicati stampa diramati dai membri della band in tournée con Safadi.
“Nelle sue canzoni se la prende con l’ipocrisia e l’arrivismo di quelle persone che usano la religione come strumento per raggiungere i propri scopi personali, ma non con la religione”, scriveva uno dei musicisti di Safadi su Facebook.
Ma che non fosse un personaggio comodo, lo si sapeva già da tempo. 
Uscito nel febbraio scorso con il suo primo album solista, Namroud (Provocatore, ndr), Safadi arriva da un passato ‘turbolento’ appunto. Prima con la band di rock alternativo Lenzez, formatasi a Beersheba e composta da israeliani anti-sionisti e refusenik: tre album all’attivo e dieci anni di attività live; poi con un nuovo gruppo di stanza ad Haifa composto da artisti palestinesi, il cantante si era fatto già notare come uno che di peli sulla lingua ne ha davvero pochi.
Nel 2010, durante un festival all’aperto, la polizia era intervenuta per fermare la sua esibizione, accusandolo di ‘agitare le folle’.
Le sue canzoni, che parlano di razzismo, rifugiati e prigionieri politici - ovvero della vita quotidiana sotto l’occupazione -  lo hanno portato nel 2011 agli onori della cronaca isrealiana: ’onorevole della destra parlamentare Aryeh Eldad aveva infatti chiesto l’apertura di un procedimento a carico di Safadi per ‘incitamento alla violenza e al terrorismo’, procedimento avviato e chiuso nel giro di due mesi per mancanza di prove.
“Grazie bella gente per lo straordinario supporto e per l’attenzione. Sono sano e salvo a casa. Vorrei avere altro da dire, ma per ora no. Sembra tutto un sogno. Uno di quelli brutti però”.
Così salutava i suoi fan Jowan Safadi dalla sua pagina di Facebook la sera del 2 dicembre.

7 dicembre 2012

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